La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23708 del 6.11.2014, in riferimento alla servitù di parcheggio, ha stabilito che il contenuto del diritto in esame è incompatibile con lo schema reale configurato dal legislatore per mancanza del requisito tipico della servitù intesa come inerenza al fondo dell’utilità (c.d. realitas).
La Suprema Corte ha precisato che l’utilità meramente personale del proprietario di un fondo (dominante, ad esempio appartamento) di parcheggiare l’auto in un altro fondo (servente, ad esempio il cortile comune) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio personale dei proprietari dell’auto. La conseguenza è la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto.
La sentenza è stata oggetto nei mesi successivi di numerosi commenti negativi da parte degli esperti in materia che pur confermandone la correttezza relativamente al caso specifico posto all’esame della Corte, ha ritenuto non dover dedurre da questa pronuncia un principio generale di nullità della servitù di parcheggio in sé.
Secondo i commentatori il parcheggio può esser il contenuto di una servitù volontaria, e quindi oggetto di un diritto reale tipizzato nel codice civile, purché per la sua costituzione vengano osservate regole precise che tengano conto della peculiarità dell’oggetto “parcheggio” e della struttura del diritto reale tipico di servitù.
La condizione necessaria e sufficiente per far sì che il parcheggiare sul fondo altrui rientri nell’ambito delle servitù consiste nel fatto che questo diritto possegga i requisiti sanciti dagli artt. 1027 ss. c.c che di disciplinano il diritto di servitù.: l’altruità della cosa, l’immediatezza (diretta soggezione della cosa al potere del titolare), l’assolutezza (rilevanza, tutelabilità nei confronti di qualunque soggetto), la specificità del contenuto e del godimento, la doppia inerenza ai fondi (dominante e servente).
Nell’esame della servitù di parcheggio è quest’ultimo requisito il più delicato da comprendere in quanto l’utilità che si ricava dalla costituzione del diritto di servitù va riferita al fondo dominante (realitas) e va distinta dall’utilità meramente personale del proprietario del medesimo (commoditas). E’ difficile concepire l’utilità di un bene indipendentemente da quella delle persone che ne godono, il che rende difficile e complesso discriminare il vantaggio puramente personale da quello conseguito come titolare di un bene.
Questo problema, secondo la dottrina, va quindi risolto nel senso di ritenere che l’utilità giunge al titolare del fondo dominante attraverso il godimento di tale fondo. La servitù è quindi strumentale all’utilizzazione del fondo dominante e per tali motivi può essere definita come il diritto di far stazionare uno o più veicoli, di un determinato tipo, sul fondo altrui, allo scopo di dotare di detta utilità un altro immobile, cui sia connaturata una presenza umana per periodi continuativi (abitazione, ufficio, albergo, ecc.).
La servitù di parcheggio in particolare necessita dell’ulteriore requisito tipico consistente nella localizzazione/determinazione del luogo in cui si esercita la servitù. L’art. 1068 c.c. presuppone la localizzazione e ne dà la disciplina: “Il proprietario del fondo servente non può trasferire l’esercizio della servitù in luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente”, dettando negli altri commi le norme per lo spostamento, ad istanza del proprietario dell’uno o dell’altro fondo.
Nel caso della servitù di parcheggio, la localizzazione è chiaramente indispensabile perché altrimenti il diritto di posteggio sarebbe generico ed indeterminato, e non darebbe luogo a quella situazione di immediatezza e di possesso, che costituisce un requisito essenziale del diritto reale di servitù. È insomma connaturato al diritto di parcheggio stabilire dove esattamente si debba sostare all’interno del fondo servente.